E’ attrazione vera, intesa felice: Venezia e gli artigiani s’incontrano di nuovo, questa volta in Arsenale, come fino a pochi giorni fa erano all’Isola di San Giorgio per Homo Faber, con le loro piccole o grandi meraviglie che costano tempo, fatica e mal di schiena.
Mai così in pericolo, schiacciato dalla produzione di massa, e per questo mai così sostenuto, l’artigianato trova un nuovo punto di equilibrio nell’evento promosso dal Comune e organizzato da Vela Spa che fino a domenica 6 ottobre raccoglie alle Tese e alle Nappe di San Cristoforo 140 maestranze, a dimostrazione che l’intelligenza delle mani può infischiarsene dell’intelligenza artificiale.
Per quattro giorni la seconda edizione del Salone dell’Alto Artigianato Italiano, inaugurata dal sindaco Luigi Brugnaro, sarà laboratorio e vetrina, con i suoni, i rumori, gli odori delle botteghe, l’una accanto all’altra su una superficie di 7 mila metri quadrati, come un campo da calcio.
Dietro ogni marchio, una storia individuale o di famiglia, anni o secoli di tradizione preservati con pazienza, a volte con sfinimento, sottratti alla vita di corsa.
Non può esserci fretta nella lavorazione della cartapesta, dei metalli, del marmo, delle pietre. Dal vetro al legno, dalla terracotta alla ceramica, non esiste materiale grezzo che non possa diventare altro, qualcosa di unico e irripetibile.
Come le biciclette in titanio di De Rosa fatte a mano, telaio su misura, quattro giorni per realizzare un esemplare, sella per pedalare fino a 200 chilometri senza rischiare la paralisi delle natiche; i pianoforti di Zanta, i liuti di Davide Pusiol, i bonsai in ottone di Barone Italia che non solo non muoiono mai, ma crescono, grazie alla possibilità di inserire qua e là qualche nuova foglia man mano che il tempo passa.
Presenti in forze anche gli atelier sartoriali, in attesa di Apriti Moda (anche a Venezia, il 19 e 20 ottobre) e di Venice Fashion Week (dal 21 al 27 ottobre) con Venezia da vivere.
L’azienda Pasotti porta i propri ombrelli, più da collezione che da intemperie, Martina Tomas il cachemire del gregge di trenta capre allevate con amore a Tambre, in provincia di Belluno, Sandro Zara del Tabarrificio Veneto di Mirano il tabarro e la sua lunga lavorazione, inclusa la prova d’acqua per certificare l’impermeabilità del mantello; e poi Ludovica Zane con i merletti di Burano, l’atelier Stefano Nicolao con i costumi che hanno fatto il giro del mondo, la tessitura Bevilacqua con i velluti, Wladi Rigato e le calzature su misura, le creazioni di Antonia Sautter già al lavoro per il prossimo Ballo del Doge.
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