Di terra, di sassi, mattoni; e poi di acqua, pulita o inguardabile, preziosa, sprecata, l’acqua nella quale galleggiano isole di bottiglie abbandonate, troppa o troppo poca. La natura è protagonista alla 18. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale (fino al 26 novembre) e non se la passa benissimo.
“The Laboratory of Future”, curata da Lesley Lokko, 59 anni, scozzese con cittadinanza ghanese, quindi con il cuore rivolto all’Africa, racconta l’importanza del riciclo, l’orrore di fronte agli sprechi, dove persino i materiali di scarto della Biennale 2022 occupano l’intero padiglione della Germania.
Il politically green corre a Venezia sul ghiaino dei Giardini di Castello e dell’Arsenale dove gli architetti di tutto il mondo si industriano a spiegare quanto i cambiamenti climatici siano la nostra dannazione, senza tuttavia disegnare un pur modesto tetto sotto il quale trovare riparo. Pochissimi i progetti, quasi inesistenti i plastici; via le matite, a beneficio di installazioni, performance, opere scenografiche.
Il labirinto di mattoni dell’Uzbekistan, la passerella di bambù delle Filippine, la montagna di terra dell’Irlanda, i semi del Cile, le pietre degli Emirati Arabi, la foresta di legno nero del Ghana, i tronchi intagliati dei Paesi Nordici, le mattonelle dell’Arabia Saudita che profumano di lavanda e mirra.
Difficile immaginare di vivere nel campetto da basket proposto dal Messico, coricarsi nel reticolo di tubi della Polonia, ancor meno fare la spesa nel minimarket della Lettonia dove gli scaffali sono pieni, ma nulla è commestibile. Intanto, Israele si è auto-sigillato, incorporandosi come opera di se stesso mentre gli Stati Uniti fanno della plastica una sfida, ma non una casa.
Se non sapremo dove abitare, in compenso i bisogni primari sono assicurati. Due i wc in esposizione: l’Huusi finlandese, con il legno da sauna, e il gabinetto della Germania, salubre (quanto possibile) e senz’acqua.
Leggi anche
● Biennale chic e rock
Sfoglia la gallery