La fortuna di chiamarsi Mariano Fortuny, di avere una biblioteca illuminata da quattro finestroni gotici, una scrivania che è una piazza d’armi, librerie a telai scorrevoli che custodiscono antichi trattati di architettura, l’intera Encyclopédie di Diderot e d’Alembert, raccolte di incisioni, album rilegati, immagini, appunti, ritagli, barattolini di colla, tutto ordinatissimo, come se il padrone di casa e la moglie Henriette si fossero appena allontanati per andare a prendere il tè.
Apre al pubblico anche il secondo piano del Museo Mariano Fortuny y Madrazo, a San Beneto, e il genio del pittore, scenografo, fotografo, incisore spagnolo, trasferitosi in laguna a 18 anni, salta fuori da ogni oggetto, dalle lampade, i tessuti, i brevetti (più di cinquanta quelli registrati), i torchi, i modelli dei teatri.
Gli atelier del Museo ritornano a Venezia e al mondo come una wunderkammer zeppa di cose preziose, tutto home made, frutto del talento favoloso dell’artista multitasking che non poteva stare un minuto con le mani in mano e, dove toccava, creava bellezza.
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