Palazzo Vendramin Grimani Venezia

Cortesie per gli ospiti a Palazzo

Com’era e dov’era, ritorna a Palazzo Vendramin Grimani la vita di un tempo, forse più felice, sicuramente molto agiata, fatta di ricevimenti, fruscio di sottane, biglietti da visita, lenzuola ricamate, qualche svenimento qua e là.

Ritorna grazie a una ricerca durata cinque anni che restituisce al palazzo affacciato sul Canal Grande, oggi sede della Fondazione dell’Albero d’Oro, le collezioni delle famiglie che lo abitarono, dai Vendramin ai Grimani Giustinian fino ai Marcello, ultimi proprietari dell’edificio fino al 1969; e nessuno che si sia mai fatto mancare nulla.

La mostra Di storie e di arte. Tre secoli di vita a Palazzo Vendramin Grimani (dal 12 aprile al 23 novembre), curata da Massimo Favilla e Ruggero Rugolo, con l’allestimento di Daniela Ferretti, mantiene quel che promette, e cioè l‘immersione nella vita privata della nobiltà veneziana, quella originale, senza vacui effetti speciali, che include – per dire – la ricevuta dell’acquisto del burro e i compiti dei bambini.

La mostra a Palazzo Vendramin Grimani

Gli arredi, i dipinti, le porcellane, gli argenti, le fotografie (sono 5.000), gli abiti, i pizzi, i fazzoletti da portare al cuore sono stati rinvenuti con fatica pari all’eccitazione battendo palmo a palmo gli armadi, le soffitte, i bauli degli eredi dei proprietari del palazzo, nei quali finirono depositati dal tempo e lasciati lì, in attesa che qualcuno li prendesse di nuovo per mano.

Ritornati al proprio posto, sala dopo sala, sono la memoria viva di gusti e abitudini dei vecchi abitanti, come quella di avere sotto e dentro casa 14 gondolieri, sette gondole, 36 persone di servizio e due preti.

In mostra nel palazzo che fu del doge Pietro Grimani (1677-1752), anche opere d’arte inedite, tra le quali quattro pastelli di Rosalba Carriera e un dipinto di Angelica Kauffmann, oltre ai costumi di Carnevale dei più piccoli che facevano capolino tra i grandi sotto l’occhio vigile dell’istitutrice.

Ogni giornata seguiva così il proprio corso, dalle cucine alla Sala dell’Aurora; lezioni di danza, cambio d’abito, corrispondenza, visite di piacere come in una galleria di Pietro Longhi.

Le cortesie per gli ospiti erano un impegno costante e delizioso, gli inviti viaggiavano da un palazzo all’altro come oggi le mail; a ogni cena con menu dettagliato seguivano la musica, le carte, la poesia, uno spettacolo a teatro, le confidenze intorno al tavolino da tè. Mancano solo i pasticcini.

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    1. Questi restauri non ci fanno solo partecipi dei fasti e dell’opulenza delle nobili famiglie veneziane, stuzzicando il nostro voyerismo per la loro intima quotidianita’ma sottolineano ancor di piu’quanto Venezia fosse internazionale gia’ allora e quanta cultura e interscambio promuovessero certi nobili illuminati.

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