Dunque, se ne vanno. Non da sole, giacché pesano trecento chilogrammi l’una, più la grande che fa mezzo quintale.
L’immobilità prolungata non le ha fiaccate, bensì preparate alla resistenza: per quasi tre mesi hanno avuto il solletico dei colombi sulla nuca, la sottana di bronzo lambita dall’acqua alta, lo sfinimento dei selfie; e mai un lamento.
Arrivate all’alba del 27 marzo scorso, “Las Meninas” dell’artista spagnolo Manolo Valdés, lasciano Piazzetta San Marco di nuovo all’alba, avvolte nel domopak, sui bancali degli spedizionieri che le caricano in barca come bambole per giganti, con destinazione (tranne una, riservata ai Musei civici) il deposito del gallerista Stefano Contini che, se potesse, le metterebbe in girotondo nell’androne del suo palazzo da tanto le ama.
Le dodici Reina Mariana e l’Infanta Margarita rappresentano una qualche forma di democratizzazione dell’area marciana, lì dove ancora si discute se l’albero digitale di Fabrizio Plessi fosse appropriato o meno, se il palco dei concerti estivi sia invadente, e solo dopo quattro anni nessuno fa più caso agli ombrelloni bianchi dei caffè storici conquistati portando il precedente delle tende nelle vedute di Canaletto.
Insomma, la Piazza è sacra e le truppe di turisti con il panino tra i denti sono il contrappeso della venerabilità, il difetto nella virtù. Non c’è atto senza potenza e “Las Meninas”, rivisitazione delle “Damigelle d’onore” di Diego Velázquez, furono accolte come prova ordalica dell’arte.
Il tempo ha aggiustato la prima impressione di parata militare; i favorevoli all’opera hanno compensato i detrattori, altra vita è passata depotenziando l’eccentricità di quelle dame altezza uomo arrivate da un altro secolo, la larga gonna con guardinfante, le spalle spioventi, diventate con il tempo pop.
Dalle signorine delle corte spagnola, educate al silenzio, nemmeno un parola, quando invece ne avrebbero da dire.
Se potessero parlare, racconterebbero di quante volte sono state scambiate per opere di Botero, di quanti visitatori hanno approfittato della loro ombra, accasciandosi ai loro piedi; e poi di tutta quella bella gente arrivata durante la Biennale Arte, la visita del Papa per la quale hanno dovuto scansarsi, il delirio per il Venezia Calcio in serie A, la sfilata di Max Mara, la pioggia che hanno preso in una primavera posseduta dall’autunno.
Invece mute; testa alta, l’ultima riverenza e adiós Venezia.
Leggi anche
● Venezia, attenti all’arte
Sfoglia la gallery