Custode della storia Serenissima fino all’ultimo archibugio, quando andare per mare significava andare in battaglia, il Museo Storico Navale apre alla città rinnovato, in concomitanza con l’arrivo a Venezia dell’Amerigo Vespucci; e chissà quante cose avrebbero da raccontarsi, da una parte all’altra di Riva San Biasio, a fianco dell’Arsenale, del sommergibile Enrico Dandolo, per il comune passato saldo nella furia dei venti.

Di proprietà del Ministero della Difesa attraverso la Marina Militare, il MUNAV è il museo navale più importante in Italia, con un’area espositiva di 6.000 metri quadrati, la metà di Piazza San Marco, distribuiti su cinque piani, attraverso 42 sale.
Un viaggio con i piedi all’asciutto tra galee, armi, modellini di corazzate, incrociatori, torpedinieri, strumenti nautici, in uno spazio oggi valorizzato senza tante diavolerie tecnologiche dalla società D’Uva srl che, per conto di Difesa Servizi, gestisce il museo e l’ha dotato di una nuova accoglienza, un’audioguida con le voci di 58 protagonisti, il logo progettato da Vanni del Gaudio, un bookshop e, nei prossimi mesi, una caffetteria.

Riapre anche il Padiglione delle Navi (nella foto d’apertura) sede dell’antica officina dei remèri, restaurato e riportato alla sua originale visione cinquecentesca, ora interamente visitabile. Nei 3.000 metri quadrati di superficie, come in un Salone nautico di altri secoli, sono allineati il panfilo di Giuseppe Marconi, l’imbarcazione da cerimonia Scalé reale, una Disdotona del 1926, l’apparato motore del piroscafo Elettra, e via via, gondole, barche da pesca, scafi da lavoro.
Inaugurazione con taglio del nastro alla presenza del sottosegretario alla Difesa, Isabella Rauti, dell’Ad di Difesa Servizi, Luca Andreoli, dell’Ad di D’Uva, Ilaria D’Uva, mentre la riva accoglie migliaia di persone in fila per visitare il veliero sul quale tutti i lupi di mare hanno sognato di salire a bordo almeno una volta nella vita (il problema, poi, è a ritornare a terra).

Fondato nel 1919 dopo la Prima Guerra Mondiale, il Museo Navale racconta le imprese di comandanti, marinai, arsenalotti, avventurieri, all’interno dell’edificio del XV secolo, usato un tempo come granaio per la conservazione del grano con il quale si cucinava un particolare tipo di pane a lunga conservazione, chiamato “biscotto”, adatto ai lunghi viaggi delle galee.
Tra le curiosità, le pignatte da fuoco in ghisa e vetro, antenate delle bombe Molotov, che contenevano una miscela di catrame e olio e venivano lanciate contro le navi nemiche. Erano micidiali, ma alle volte non in maniera sufficiente. Furono infatti utilizzate per la prima volta durante l’assedio a Candia, capitale dell’isola di Creta, durato oltre 20 anni, dal 1648 al 1669, che tuttavia dovette arrendersi passando sotto il controllo turco.

Nella sala delle armi, scintillano ancora la sciabola del corsaro Giuseppe Bavastro (1760-1833), considerato il più famoso della storia, e quella di Emanuele Filiberto di Savoia, Duca d’Aosta.
C’è poi il siluro a lenta corsa (detto maiale) della Seconda Guerra Mondiale impiegato per attaccare l’esplosivo sotto le navi nemiche e manovrato da due uomini in muta da sub posizionati a cavallo dell’arma.
Il siluro è passato alla storia per l’impresa contro la base britannica ad Alessandria d’Egitto del 19 dicembre del 1941 quando sei uomini riuscirono ad infliggere gravi danni alle corazzate nemiche. Ogni anno il 19 dicembre, il Museo commemora i sei eroi sistemando sul maiale sei bicchieri di spumante.
E ancora, il famoso M.T.M., detto barchino esplosivo, che presentava sulla prua un cilindro per trasportare 300 chili di tritolo. A poppa c’era invece il posto del pilota fornito di uno zatterino salvagente per abbandonare il mezzo poco prima dell’impatto con l’obiettivo. Il segno della croce, e via.
Non tutto, al MUNAV, sa di battaglia. All’ultimo piano del museo figura la collezione di conchiglie della stilista Giuliana Camerino donata dalla figlia Roberta. E’ il racconto di un mare gentile, fatto di grazia, all’interno di teche che hanno i bagliori del sole.
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