Tutta la profusione, la bellezza, la bulimia del collezionismo nel museo di Palazzo Grimani, trasformato in un Gabinetto delle meraviglie che corre lungo l’intero piano nobile, entra nel Camerino di Apollo, esce dalla Sala di Psiche, s’incrocia nella Sala del Doge e resta senza fiato.
“A Cabinet of Wonders. A Celebration of Art in Nature” (fino all’11 maggio 2025) raccoglie oltre 400 oggetti rari, bizzarri, irripetibili; dai modelli scientifici del XIX secolo acquistati in tutto il mondo dal banchiere britannico George Loudon ad altre opere d’arte esposte impetuosamente come in una Wunderkammer del XVII secolo.
In mostra, un teschio esploso, funghi in cera, teste mediche in gesso, un torso anatomico che porge l’intestino, i fiori in cartapesta della manifattura Brendel, creature marine, un tacchino selvatico, un gatto a due teste, i globi giapponesi, secondo il gusto di Loudon il quale, abitato da una curiosità incontenibile, ha raccolto centinaia di reperti ideati originariamente a scopi didattici e ora diventati objets d’art.
L’horror vacui attraversa Palazzo Grimani – come, immaginiamo, la stessa residenza di Loudon – quasi irriconoscibile grazie a trompe-l’oeil, specchi neri, tessuti Rubelli, penombra, niente vetrine, nessuna teca, volutamente senza targhette esplicative per assicurare un’immersione totale nel collezionismo in purezza.
“A Cabinet of Wonders”, prodotta dal Ministero della Cultura, dalla George Loudon Collection e da Venetian Heritage, curata da Thierry Morel con la collaborazione di Valeria Finocchi, storica dell’arte del palazzo, allestita insieme allo scenografo Flemming Fallesen, racconta la potenza di una passione inesplicabile e imperiosa.
Non c’è limite alla sovrabbondanza di oggetti nella dimora che fu di Giovanni Grimani, le cui statue greche e romane sono ritornate dopo 400 anni ad affollare la Tribuna.
In arrivo dalla Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro, dalla Scuola Grande di San Rocco, dal MAK di Vienna, da altri musei, palazzi, antiquari, ecco i mobili, gli arazzi, i mandolini, le medaglie, i bronzi, un coccodrillo in segatura, “La Crocifissione di Cristo” dorata di Guglielmo Della Porta, i dipinti, alcuni dei quali mai esposti prima, come il “Cristo in gloria” di Veronese che si credeva perduto e invece era al sicuro in Svizzera.
Tre anni per concepire la mostra, che si è arricchita strada facendo perché ogni nuovo oggetto è apparso indispensabile; stuoli di falegnami, tappezzieri, architetti, con il metro in mano fino all’ultimo minuto, per metterla in scena. Un pensiero va a chi dovrà spolverarla.
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