Bisogna cercarli dietro i muri dei palazzi, nascosti nelle calli, affacciati sul Canal Grande. I giardini di Venezia si negano sempre un po’, porgono la chioma di un albero e nascondono il prato, vicini e distanti, talvolta sconosciuti, spesso inaccessibili.
Il verde della laguna sconta la concorrenza con i monumenti, con le pietre – un pitosforo fa meno notizia di un mosaico – eppure è così rigoglioso, così vario, da meritare un volume di 300 pagine, “I giardini di Venezia”, curato da Toto Bergamo Rossi, direttore di Venetian Heritage, con l’architetto e paesaggista Marco Bay, le immagini di Marco Valmarana, la prefazione di Diane Von Furstenberg, edito da Marsilio Arte.
Toto Bergamo Rossi ha scelto 53 giardini della città, suddivisi per sestiere, fotografati in ogni stagione dell’anno, anche sotto la neve, anche con l’occhio aereo di un drone, e di ciascuno ha raccontato la storia, fatta di vegetazione, statue, panchine, fontane.
L’esperienza sul campo – l’impegnativo restauro del giardino di Palazzo Gradenigo e ora quello della sua nuova casa, sempre in rio Marin – l’ha portato oltre l’estetica.
Dietro la geometria delle siepi, c’è il vincolo di sottrarre i roseti all’acqua alta, di salvare gli orti dal gelo, di mediare tra il sale dell’acqua e le esigenze del paesaggio, di rincominciare daccapo a ogni primavera.
Non esiste giardino senza fatica, come sanno bene Venice Gardens Foundation che ha strappato i Giardini Reali dall’abbandono, la Biennale con la riqualificazione di quella stanza a cielo aperto che è il Giardino delle Sculture di Carlo Scarpa, il Belmond Hotel Cipriani che controlla ogni filo d’erba del parco nel quale Giacomo Casanova amoreggiava a volontà.
Ogni pagina è un cancello che si apre e, dietro il cancello, la natura che si riprende il posto che le spetta.
Presentazione del libro a Palazzo Giustinian Brandolini d’Adda della contessa Cristiana Brandolini d’Adda insieme agli autori, gli amici e i proprietari dei giardini, ciascuno – chi più chi meno – con il proprio pollice verde.
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