E’ un palazzo, ma sarà una casa per gli artisti di oggi e di domani che qui vivranno, lavoreranno, si confronteranno e l’ispirazione – a occhio – è assicurata. Già scuola elementare, quindi Tribunale di sorveglianza, poi più nulla per dieci anni, Palazzo Diedo riapre dopo un laborioso restauro che lo ha sottratto al dimenticatoio nel quale finiscono talvolta quelle dimore troppo grandi per essere anche pratiche.
Lo spazio vivo
Il filantropo e collezionista Nicolas Berggruen, ben consigliato, ha invece compreso subito l’immenso potenziale dell’edificio e, insieme alla Casa dei Tre Oci alla Giudecca, l’ha acquistato due anni fa per restituirlo alla città e al mondo non come museo, ma come spazio vivo, abitato da artisti, sede di Berggruen Arts & Culture di cui è direttore Mario Codognato e curatrice Adriana Rispoli.
Il settecentesco Palazzo Diedo entra oggi nel futuro con i suoi 4mila metri quadrati di superficie, tre piani più il mezzanino e il sottotetto, finestre a profusione, la corte che presto diventerà giardino, la caffetteria che sarà gestita dall’Harry’s Bar, i saloni, gli stucchi, gli affreschi restaurati, le decorazioni apparse a sorpresa durante i lavori diretti dall’architetto Silvio Fassi che hanno visto nel cantiere, solo nell’ultimo mese, 150 operai al giorno.
Una casa della bellezza in continuo divenire e non ancora terminata; un work in progress con gli ultimi tecnici al lavoro che ben si addice a uno spazio che non starà fermo un attimo e che debutta con la mostra “Janus” alla quale si aggiungono due progetti speciali in collaborazione con The Kitchen di New York e con Polaroid Foundation.
Le opere
Il pavimento già calpestato da generazioni di bambini veneziani, giudici e avvocati porta la firma di Piero Golia, gli affreschi sono dell’artista californiano Jim Shaw, la scala tra il primo e il secondo piano (che sarà inaugurata a giugno) di Carsten Höller, le lanterne di Sterlin Ruby. Undici gli interventi site-specific di altrettanti artisti internazionali che contano anche quelli di Ibrahim Mahama, Mariko Mori, Aya Takano, Lee Ufan, Liu Wei e Hiroshi Sugimoto che irrompe a palazzo con un fulmine che squarcia il soffitto.
Potrebbe piovere, dunque, ma sono invece i goccioloni asciutti dello svizzero Urs Fischer: niente cera che si scioglie, nessuna opera in liquefazione per l’installazione “Omen”, bensì la delicatezza del vetro specchiato come lacrime di gioia sulla città.
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