La Fenice rinasce con “Fidelio”, inno all’amore e alla libertà, per l’inaugurazione della stagione del teatro veneziano. In mille alla prima dell’unica opera lirica di Beethoven che in una sera spazza via la pandemia, l’acqua granda, e restituisce alla città quello che era sempre stato suo. Dietro le mascherine (anche dorate) s’intuisce la gioia del ritorno, la liberazione dal divano, e certamente anche la prova di certi tacchi che per due anni erano rimasti senza nulla da fare.
Foyer delle grandi occasioni per il pubblico arrivato anche dall’estero, con un folto gruppo di tedeschi, imprenditori, un ministro (Brunetta), artisti, melomani in astinenza grave, veneziani che si ritrovano e si riconoscono. “E’ una sera di grande emozione e liberazione” dice il sovrintendente Fortunato Ortombina montando la guardia al suo regno.
La bacchetta è del maestro coreano Myung-Whun Chung, la regia dello spagnolo Joan Anton Rechi, la storia è quella struggente di Leonore che indossa i panni maschili di Fidelio per entrare in carcere e liberare il marito Florestan ingiustamente imprigionato. Libertà per tutti, dunque, sul palcoscenico, in platea, e poi su, fino alle Sale Apollinee, per la cena di gala con menu spagnolo e segna tavolo dedicato all’amore.
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